Gli
alberi sono organi di macchine di forma allungata sottoposti, durante il
funzionamento, ad un moto di rotazione oppure di oscillazione attorno ad un
asse rettilineo.
Tutti
gli elementi meccanici sono spesso soggetti a sollecitazioni che variano nel
tempo in modo ciclico, cioè a storie di carico nelle quali si può identificare
una successione di valori massimi (picchi) e minimi (valli) alternati (Figura
1).
Figura 1: Carico ciclico
Quando
un componente meccanico si danneggia sotto l'azione di tensioni cicliche
nonostante i valori massimi di tensione si mantengono al di sotto di quelli di
rottura, il cedimento avviene per il fenomeno definito di fatica.
Si definisce fatica il fenomeno di danneggiamento progressivo del materiale che inizia con una
fase di nucleazione di una microscopica cricca
e che procede con una fase di propagazione del difetto fino a dimensioni
critiche, tali da provocare la rottura senza preavviso.
Si
noti che nella vita a fatica di un materiale contano soltanto i livelli dei
picchi e delle valli della storia temporale della tensione cui è soggetto e non
la forma della funzione compresa tra essi.
Il
cedimento per fatica è dovuto all’accumulo di danni localizzati causati da
deformazione cicliche in campo plastico. Tipicamente la rottura avviene dopo
diverse migliaia di cicli. Le zone più svantaggiate sono quelle a tensione più
elevata (ad esempio le zone di concentrazione di tensione) e la superficie
esterna.
Il
processo del cedimento per fatica viene tipicamente diviso in 4 fasi:
1.
nucleazione
della frattura di fatica;
2.
accrescimento
della frattura lungo un piano di elevata tensione tangenziale;
3.
propagazione
della frattura in direzione normale alla tensione di trazione;
4.
rottura
dell’elemento.
Consideriamo una trave in acciaio a
sezione rettangolare dove è stato praticato un leggero intaglio in
mezzeria (Figura
2).
Figura 2: Trave a sezione rettangolare
Attraverso il
martinetto, viene applicata alla trave una forza F che
presenta un andamento triangolare (Figura 3):
Figura 3: Sollecitazione triangolare
Applicando ripetutamente la forza F, la piccola
fessura inizia a propagarsi riducendo via via la sezione resistente.
Un cedimento per fatica inizia, quindi, con una
frattura microscopica, inizialmente difficile da rilevare con tecniche
sperimentali. Man mano che la frattura si sviluppa, gli effetti di concentrazione delle tensioni divengono
maggiori e la velocità di accrescimento aumenta sempre più rapidamente, prima
nella direzione delle massime tensioni tangenziali, poi in direzione ortogonale
alle tensioni normali. La sezione resistente diminuisce in ampiezza e la
tensione aumenta sino a quando non raggiunge il livello di collasso.
La rottura finale risulta essere pertanto di tipo
fragile, ovvero con minima deformazione plastica e il cedimento è caratterizzato pertanto da due
distinte aree di frattura (Figura 4):
·
la
prima dovuta al progressivo sviluppo della cricca, appare quasi liscia (in
realtà ha una struttura molto fine);
·
la
seconda, dovuta alla frattura finale, è molto simile alla superficie di
frattura di un materiale fragile rotto in trazione.
Figura 4: Rottura del materiale
La rottura per fatica è dunque dovuta alla
formazione di una cricca, anche se inizialmente di dimensioni minime, che a
causa della ciclicità dei carichi inizia a propagarsi fin quando la restante parte della sezione non è più in grado di
resistere alle sollecitazioni e si giunge allora alla rottura dell’organo,
rottura che prevalentemente è di tipo fragile, ovvero senza apprezzabili
deformazioni.
Se si vogliono progettare elementi di macchina
sollecitati a fatica interpretando il carico agente come statico, occorre usare
coefficienti di sicurezza molto più alti, tipicamente al di sopra del doppio o
del triplo di quelli ordinari.
Il
primo che riscontrò queste strane rotture fu Wöhler. Egli si accorse guardando
gli assali ferroviari che essi pur essendo stati dimensionati staticamente con
coefficienti di sicurezza elevati, sottoposti a delle sollecitazioni cicliche,
collassavano prima del previsto.
L'ingegner
Wöhler costruì la prima macchina che sottoponeva i provini a flessione rotante,
analogamente a quello che accade ad un assale ferroviario ed effettuò varie
prove su vari provini di materiale diverso.
Con
tale macchina Wöhler definì delle curve di durabilità del materiale ancora oggi
universalmente chiamate “curve di Wöhler”. Sempre a lui si deve la definizione
di “Limite a fatica”, ovvero uno stato tensionale limite che se non superato
consente al componente una vita indefinita.
Una
tipica macchina utilizzata oggi giorno per effettuare la prova di fatica è
quella di Moore (Figura 5),
Figura 5: Macchina di Moore
la
quale sottopone i provini di dimensioni unificate a flessione rotante pura, e
dunque le tensioni che ne risultano sono solo di compressione o trazione.
La
macchina è dotata di un contatore che permette di conoscere il numero di cicli
di carico che il provino sopporta prima di arrivare a rottura.
In
particolare, il provino opportunamente dimensionato secondo le normative
vigenti, risulta essere dotato di
un’ottima finitura superficiale e di un ampio raggio di raccordo proprio per
evitare che la cricca di fatica abbia inizio per causa di irregolarità
superficiali.
Per
ottenere sperimentalmente la curva di Wohler è necessario eseguire una serie di
prove a fatica su provini normalizzati.
Per
ogni provino sottoposto al test si misura il carico ciclico imposto e si registra
il numero di cicli trascorsi al momento della rottura.
I
risultati delle prove vengono riportate su un piano semi-logaritmico σ – logN,
dove N indica il numero di cicli alla rottura (Figura 6).
Figura 6: Curva di Wöhler
Tale
curva è detta “Curva di Wohler” e stabilisce la resistenza a fatica di
un materiale a prescindere dalla presenza di fattori quali intagli,
temperatura, .., che possono ridurne la resistenza a carichi variabili.
Dal
grafico si possono distinguere essenzialmente tre zone:
1.
Zona della fatica
oligo-ciclica: la rottura avviene per elevati carichi (e relativamente grandi
deformazioni) a baso numero di cicli.
2.
Zona di progettazione a
tempo o fatica ad alto numero di cli.
3.
Zona di progettazione a vita
infinita: stato tensionale limite σLF che se non superato consente
al componente una vita indefinita e quindi il provino non giunge mai
a rottura.
Al
valore di tensione al di sotto del quale non si ha rottura a fatica si da il nome
di tensione
limite di fatica.
Quando
ad essere soggetto a carichi ciclici non è un provino ma un componente
meccanico qualsiasi, compaiono dei fattori che influenzano la resistenza a
fatica riducendola.
Tali
fattori sono:
·
Fattori
legati all'applicazione del carico;
·
Fattori
legati alla resistenza e alle condizioni del materiale (temperatura, corrosione);
·
Fattori legati alla
geometria dell'elemento (forma, dimensioni , finitura superficiale);
Quando
un componente è sottoposto a delle sollecitazione composte di tipo
flesso-torsione, per determinare il diametro minimo affinché il componente
meccanico non si rompa a fatica, bisogna determinare la tensione ammissibile
definita come il rapporto tra la tensione limite di fatica e un coefficiente di
sicurezza eta che dipende dal comportamento del materiale:
L’approccio che si segue per
determinare la tensione ammissibile di fatica è quello di introdurre dei
coefficienti riduttivi C della tensione limite a fatica del materiale .
Per tener conto delle
dimensioni si introduce un coefficiente riduttivo C1 (Figura 7)
Figura 7: Coefficiente riduttivo C1
La
rugosità superficiale del componente può essere una delle cause che innescano
la cricca di fatica. A tal proposito si riscontra una diminuzione del limite a
fatica all’aumentare della rugosità e del carico a rottura del materiale (Figura
8).
Figura 8: Coefficiente riduttivo C2
Le
varie curve si riferiscono alle varie finiture. La prima è riferita alla lucidatura,
etc. Un altro fattore
che influenza la resistenza a fatica di un materiale è il coefficiente di
intaglio. Il coefficiente di intaglio a fatica Kf
viene espresso attraverso la seguente relazione:
Tale
relazione, dipende dal fattore di forma “Kt“ e dalla sensibilità
all’intaglio “q”.
Il
fattore di forma Kt è definito come rapporto fra la tensione massima
che effettivamente si verifica secondo l’applicazione della teoria
dell’elasticità e la tensione nominale massima σn che si ottiene
applicando la teoria di De S.Venant.
Determinato
il fattore di forma Kt e quindi il coefficiente di intaglio, si passa pertanto
alla determinazione della tensione
limite di fatica.
Dividendo
tale tensione per un coefficiente di sicurezza i cui valori sono tabellati si determina la tensione
ammissibile di fatica.
Il
valore che si ottiene (σam) viene confrontato con la tensione ideale
ottenuta utilizzando il criterio di Von Mises o criterio dell'energia di
distorsione che tiene conto della sollecitazione composta di flesso-torsione:
dove
sigma rappresenta la tensione nominale dovuta alla sollecitazione di flessione
definita come il rapporto tra il momento flettente e il modulo di resistenza a
flessione
mentre
tau rappresenta la sollecitazione tangenziale dovuta alla sollecitazione di
torsione definita come il rapporto tra il momento torcente e il modulo di
resistenza a torsione:
Sostituendo
le due espressioni sopra riportate si ottiene:
e
da qui di determina d:
ovvero
il valore minimo del diametro dell'albero affinché non si rompa a fatica quando
viene sottoposto a delle sollecitazioni dinamiche.
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