giovedì 30 aprile 2015

Assi e alberi



Gli assi e gli alberi sono elementi di forma allungata e sezione circolare, sottoposti durante il funzionamento della macchina a un moto di rotazione oppure di oscillazione attorno ad un asse rettilineo. Nella terminologia tecnica si definiscono alberi gli organi meccanici cilindrici di una macchina in grado di trasmettere o ricevere le coppie trasmesse dai dispositivi (ruote dentate, pulegge, ecc..) montati su di essi. Gli alberi sono quindi soggetti a sollecitazioni di torsione, flessione e taglio. Quando gli alberi non trasmettono un momento torcente, ma si limitano a mantenere in posizione organi meccanici, come per esempio le ruote di un rimorchio o di un carro ferroviario, sono detti assi o assali e possono essere fissi o rotanti.



Gli alberi sono organi di macchine di forma allungata sottoposti, durante il funzionamento, ad un moto di rotazione oppure di oscillazione attorno ad un asse rettilineo.
Tutti gli elementi meccanici sono spesso soggetti a sollecitazioni che variano nel tempo in modo ciclico, cioè a storie di carico nelle quali si può identificare una successione di valori massimi (picchi) e minimi (valli) alternati (Figura 1).



 








Figura 1: Carico ciclico


Quando un componente meccanico si danneggia sotto l'azione di tensioni cicliche nonostante i valori massimi di tensione si mantengono al di sotto di quelli di rottura, il cedimento avviene per il fenomeno definito di fatica.
Si definisce fatica il fenomeno di danneggiamento progressivo del materiale che inizia con una fase di nucleazione di una microscopica cricca  e che procede con una fase di propagazione del difetto fino a dimensioni critiche, tali da provocare la rottura senza preavviso.
Si noti che nella vita a fatica di un materiale contano soltanto i livelli dei picchi e delle valli della storia temporale della tensione cui è soggetto e non la forma della funzione compresa tra essi.
Il cedimento per fatica è dovuto all’accumulo di danni localizzati causati da deformazione cicliche in campo plastico. Tipicamente la rottura avviene dopo diverse migliaia di cicli. Le zone più svantaggiate sono quelle a tensione più elevata (ad esempio le zone di concentrazione di tensione) e la superficie esterna.
Il processo del cedimento per fatica viene tipicamente diviso in 4 fasi:
1.      nucleazione della frattura di fatica;
2.      accrescimento della frattura lungo un piano di elevata tensione tangenziale;
3.      propagazione della frattura in direzione normale alla tensione di trazione;
4.      rottura dell’elemento.
      Consideriamo una trave in acciaio a sezione rettangolare dove è stato praticato un leggero intaglio in mezzeria (Figura 2).
 









Figura 2:  Trave a sezione rettangolare


Attraverso il martinetto, viene applicata alla trave una forza F che presenta un andamento triangolare (Figura 3):





 







Figura 3:  Sollecitazione triangolare

Applicando ripetutamente la forza F, la piccola fessura inizia a propagarsi riducendo via via la sezione resistente.
Un cedimento per fatica inizia, quindi, con una frattura microscopica, inizialmente difficile da rilevare con tecniche sperimentali. Man mano che la frattura si sviluppa, gli effetti di       concentrazione delle tensioni divengono maggiori e la velocità di accrescimento aumenta sempre più rapidamente, prima nella direzione delle massime tensioni tangenziali, poi in direzione ortogonale alle tensioni normali. La sezione resistente diminuisce in ampiezza e la tensione aumenta sino a quando non raggiunge il livello di collasso.
La rottura finale risulta essere pertanto di tipo fragile, ovvero con minima deformazione plastica e il  cedimento è caratterizzato pertanto da due distinte aree di frattura (Figura 4):
·         la prima dovuta al progressivo sviluppo della cricca, appare quasi liscia (in realtà ha una struttura molto fine);
·         la seconda, dovuta alla frattura finale, è molto simile alla superficie di frattura di un materiale fragile rotto in trazione.


 









Figura 4:  Rottura del materiale



La rottura per fatica è dunque dovuta alla formazione di una cricca, anche se inizialmente di dimensioni minime, che a causa della ciclicità dei carichi inizia a propagarsi fin quando la restante        parte della sezione non è più in grado di resistere alle sollecitazioni e si giunge allora alla rottura dell’organo, rottura che prevalentemente è di tipo fragile, ovvero senza apprezzabili deformazioni.
Se si vogliono progettare elementi di macchina sollecitati a fatica interpretando il carico agente come statico, occorre usare coefficienti di sicurezza molto più alti, tipicamente al di sopra del doppio o del triplo di quelli ordinari.
Il primo che riscontrò queste strane rotture fu Wöhler. Egli si accorse guardando gli assali ferroviari che essi pur essendo stati dimensionati staticamente con coefficienti di sicurezza elevati, sottoposti a delle sollecitazioni cicliche, collassavano prima del previsto.
L'ingegner Wöhler costruì la prima macchina che sottoponeva i provini a flessione rotante, analogamente a quello che accade ad un assale ferroviario ed effettuò varie prove su vari provini di materiale diverso.
Con tale macchina Wöhler definì delle curve di durabilità del materiale ancora oggi universalmente chiamate “curve di Wöhler”. Sempre a lui si deve la definizione di “Limite a fatica”, ovvero uno stato tensionale limite che se non superato consente al componente una vita indefinita.
Una tipica macchina utilizzata oggi giorno per effettuare la prova di fatica è quella di Moore (Figura 5),




 




Figura 5:  Macchina di Moore

la quale sottopone i provini di dimensioni unificate a flessione rotante pura, e dunque le tensioni che ne risultano sono solo di compressione o trazione.
La macchina è dotata di un contatore che permette di conoscere il numero di cicli di carico che il provino sopporta prima di arrivare a rottura.
In particolare, il provino opportunamente dimensionato secondo le normative vigenti,  risulta essere dotato di un’ottima finitura superficiale e di un ampio raggio di raccordo proprio per evitare che la cricca di fatica abbia inizio per causa di irregolarità superficiali.
Per ottenere sperimentalmente la curva di Wohler è necessario eseguire una serie di prove a fatica su provini normalizzati.
Per ogni provino sottoposto al test si misura il carico ciclico imposto e si registra il numero di cicli trascorsi al momento della rottura.
I risultati delle prove vengono riportate su un piano semi-logaritmico σ – logN, dove N indica il numero di cicli alla rottura (Figura 6).


 













Figura 6:  Curva di Wöhler


Tale curva è detta “Curva di Wohler” e stabilisce la resistenza a fatica di un materiale a prescindere dalla presenza di fattori quali intagli, temperatura, .., che possono ridurne la resistenza a carichi variabili.
Dal grafico si possono distinguere essenzialmente tre zone:
1.      Zona della fatica oligo-ciclica: la rottura avviene per elevati carichi (e relativamente grandi deformazioni) a baso numero di cicli.
2.      Zona di progettazione a tempo o fatica ad alto numero di cli.
3.      Zona di progettazione a vita infinita: stato tensionale limite σLF che se non superato consente al componente una vita indefinita e quindi il provino non giunge mai a rottura.
Al valore di tensione al di sotto del quale non si ha rottura a fatica si da il nome di tensione limite di fatica.
Quando ad essere soggetto a carichi ciclici non è un provino ma un componente meccanico qualsiasi, compaiono dei fattori che influenzano la resistenza a fatica riducendola.
Tali fattori sono:
·         Fattori legati all'applicazione del carico;
·         Fattori legati alla resistenza e alle condizioni del materiale  (temperatura, corrosione);
·         Fattori legati alla geometria dell'elemento (forma, dimensioni , finitura superficiale);


Quando un componente è sottoposto a delle sollecitazione composte di tipo flesso-torsione, per determinare il diametro minimo affinché il componente meccanico non si rompa a fatica, bisogna determinare la tensione ammissibile definita come il rapporto tra la tensione limite di fatica e un coefficiente di sicurezza eta che dipende dal comportamento del materiale:


L’approccio che si segue per determinare la tensione ammissibile di fatica è quello di introdurre dei coefficienti riduttivi C della tensione limite a fatica del materiale .




Per tener conto delle dimensioni si introduce un coefficiente riduttivo C1 (Figura 7)



 










Figura 7:  Coefficiente riduttivo C1

La rugosità superficiale del componente può essere una delle cause che innescano la cricca di fatica. A tal proposito si riscontra una diminuzione del limite a fatica all’aumentare della rugosità e del carico a rottura del materiale (Figura 8).



 












Figura 8:  Coefficiente riduttivo C2

Le varie curve si riferiscono alle varie finiture. La prima è riferita alla lucidatura, etc. Un altro fattore che influenza la resistenza a fatica di un materiale è il coefficiente di intaglio. Il coefficiente di intaglio a fatica Kf viene espresso attraverso la seguente relazione:


Tale relazione, dipende dal fattore di forma “Kt“ e dalla sensibilità all’intaglio “q”.
Il fattore di forma Kt è definito come rapporto fra la tensione massima che effettivamente si verifica secondo l’applicazione della teoria dell’elasticità e la tensione nominale massima σn che si ottiene applicando la teoria di De S.Venant.


Determinato il fattore di forma Kt e quindi il coefficiente di intaglio, si passa pertanto alla determinazione  della tensione limite di fatica.


Dividendo tale tensione per un coefficiente di sicurezza i cui valori sono  tabellati si determina la tensione ammissibile di fatica.
Il valore che si ottiene (σam) viene confrontato con la tensione ideale ottenuta utilizzando il criterio di Von Mises o criterio dell'energia di distorsione che tiene conto della sollecitazione composta di flesso-torsione:



dove sigma rappresenta la tensione nominale dovuta alla sollecitazione di flessione definita come il rapporto tra il momento flettente e il modulo di resistenza a flessione

mentre tau rappresenta la sollecitazione tangenziale dovuta alla sollecitazione di torsione definita come il rapporto tra il momento torcente e il modulo di resistenza a torsione:



Sostituendo le due espressioni sopra riportate si ottiene:


e da qui di determina d:




ovvero il valore minimo del diametro dell'albero affinché non si rompa a fatica quando viene sottoposto a delle sollecitazioni dinamiche.

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